Guerra Ucraina
Mosca sferra l’attacco di Natale. Zelensky: “Putin disumano”
Guerra Ucraina
Difesa aerea, 50mila missili contro Israele distrutti al 95%: quella disparità con l’Ucraina difficile da colmare
Caro Direttore,
nell’intervista di sabato al tuo giornale il professor Isaac Ben Israel ha ricordato che nell’ ultimo anno sono stati lanciati più di 50mila missili contro Israele e che quasi il 95% è stato intercettato e distrutto. Colpisce la disparità rispetto alla difesa aerea dell’Ucraina le cui gravi vulnerabilità sono davanti agli occhi di tutti.
Ieri il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato nuove distruzioni. Il Cremlino spera che la superiorità di Mosca nello spazio aereo indebolisca la resistenza delle forze ucraine sul terreno e che possa fiaccare il morale della popolazione. In questo contesto drammatico chi sostiene lo slogan “in nome della pace smettiamo di inviare armi all’Ucraina” (come i Salvini, i Conte, i Fratoianni, ecc.), favorisce inconsapevolmente l’escalation militare della Russia e le influenti campagne di disinformazione messe in atto dal Cremlino.
L’opinione pubblica italiana deve, viceversa, sapere la verità. Chi si impegna perché l’Ucraina disponga di una difesa aerea degna di questo nome non è un guerrafondaio, esattamente l’opposto. Intercettare e abbattere missili significa salvare moltissime persone, ed è pertanto innanzitutto un atto di difesa della vita. È inoltre un importante strumento di deterrenza perché il miglior modo di convincere Putin a sospendere l’offensiva aerea è annullare gli effetti devastanti dei missili e spingere così Mosca sulla via del negoziato.
Ieri dalla Lapponia il presidente del Consiglio ha giustamente definito la Russia “una minaccia molto grave”. Come reagire? Giorgia Meloni in Parlamento ha espresso una posizione politica molto impegnativa e difficile da realizzare: “Occorre costruire il pilastro europeo della Nato”. Mi aspetto che l’opposizione – a partire dal Pd – converga su questa strategia europeista e che si batta perché alle parole seguano i fatti.
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L’asse Putin-Kim e i soldati nordcoreani carne da cannone nel Kursk
Il patto tra Kim Jong-un e Vladimir Putin funziona bene. Quantomeno per i due leader. Lo scambio è quello di sempre. Uomini, armi e munizioni da parte della Corea del Nord. Petrolio, difese, denaro e (forse) tecnologia nucleare dalla Russia. Un accordo che serve a Kim per sopravvivere e a Putin per continuare la sua guerra in Ucraina. E che adesso, stando anche alle ultime informazioni ottenute dal Wall Street Journal, i due paesi hanno anche deciso di ampliare.
L’asse Putin-Kim: fiumi di armi
In base alle immagini satellitari, Kim ha deciso di dare fondo ai suoi arsenali. Sono almeno 20mila i container arrivati in Russia per essere poi spediti al fronte. C’è di tutto: dalle munizioni per l’artiglieria agli obici semoventi, fino ai missili, da quelli di più scarsa qualità per arrivare ai vettori di nuova generazione (gli Hwasong-11). Un fiume di armi che, secondo l’Intelligence ucraina, starebbe addirittura sostituendo munizioni e missili di fabbricazione russa. E anche se sono imprecisi, hanno spiegato le fonti di Kiev al Wsj, hanno comunque un potenziale devastante e svolgono perfettamente il loro compito di far rifiatare la produzione di Mosca. Al punto che le fabbriche di Kim si stanno allargando e hanno ricevuto l’ordine di aumentare la produzione.
Carne da cannone
Munizioni e missili però non sono gli unici elementi di questo scambio. Anzi, il vero problema – come ormai è noto da tempo – è il traffico di soldati. Migliaia di militari che dalla Corea sono spediti sui treni e sulle navi dirette a Vladivostok, addestrati nelle basi siberiane e infine trasportati al fronte, nel Kursk o in Donbass. Carne da cannone secondo gli osservatori, che hanno sottolineato la poca preparazione di questi soldati che mai hanno combattuto e che non conoscono né le tattiche russe né quelle ucraine (evolute grazie anche al supporto della Nato).
Ma se i soldati di Kim non sono in numero sufficiente per colmare le perdite russe né hanno la forza necessaria per spostare gli equilibri sul campo di battaglia, la loro presenza rimane un problema enorme sia per Kiev che per l’Occidente. Perché significa che Mosca può attingere dagli alleati non solo per le armi, per i droni o per le munizioni, ma anche per gli uomini. Un esercito di mercenari (o di schiavi, a seconda del punto di vista) al servizio del leader in guerra. Diventato così importante che, per il consigliere per la politica estera del Cremlino Yuri Ushakov, potrebbe anche prendere parte nel 2025 alla tradizionale parata a Mosca per l’anniversario della vittoria sulla Germania nella Seconda guerra mondiale.
I soldati nordcoreani che Putin vuole nascondere
Secondo le agenzie di sicurezza sudcoreane, Pyongyang avrebbe anche deciso di aumentare queste forze spedite in Russia. Truppe che lo zar sembra però quasi voler nascondere. Per Kiev, i feriti e i morti nordcoreani verrebbero nascosti e trasportati lontano dalla prima linea. Qualcuno ha parlato addirittura di volti bruciati per non farli riconoscere. Mentre secondo la Cnn, ai soldati asiatici vengono dati documenti falsi con identità russe. Nascosti o meno, però, questi uomini servono. E Seul parla chiaro. “Una valutazione approfondita dell’Intelligence mostra che la Corea del Nord si sta preparando a ruotare o ad aumentare lo spiegamento di truppe”, ha rivelato un documento pubblicato ieri dagli Stati maggiori congiunti della Corea del Sud. E il timore è che, a fronte di queste “forniture”, compresi nuovi carichi di droni kamikaze, Mosca possa dare sistemi di difesa aerea e tecnologia nucleare.
Le gravi perdite
I report che arrivano da Seul e Kiev affermano però anche che questi militari inviati dal regime starebbero subendo gravi perdite. Per l’Intelligence sudcoreana, l’esercito del Nord avrebbe già fatto i conti con 1.100 vittime, tra feriti e morti. Mentre il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha scritto che “secondo i dati preliminari, il numero di soldati nordcoreani uccisi e feriti nella regione del Kursk ha già superato le 3mila unità”. Numeri che non possono essere verificati, ma che in ogni caso confermano una presenza ormai costante ed estesa di queste truppe nei ranghi delle forze di Mosca impegnate al fronte. Un fronte dove Putin non vuole perdere tempo, soprattutto in vista dell’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca. E, malgrado le perdite, l’esercito del Cremlino non sembra intenzionato a fermarsi. Ieri la Difesa di Mosca ha annunciato la conquista di un altro villaggio nel Donetsk, Storojévé, vicino alla cittadina di Velyka Novossilka che è già sotto assedio. E tutto sembra far credere che la pressione di Putin non diminuirà nelle prossime settimane.
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