Guerra Ucraina
Latorre: “Brutto segnale Italia fuori da Berlino. L’Ucraina deve colpire in Russia, i missili vanno fermati lì”
Al vertice Francia-Germania-Usa-Uk che ieri si è tenuto a Berlino, l’Italia era stata invitata e ha scelto di non andare o non era stata proprio inclusa nel club? Il Riformista lo ha chiesto al consigliere diplomatico di Palazzo Chigi senza ottenere risposta. Di fatto, l’esclusione c’è. Se Meloni ha rimpinzato l’agenda di incontri internazionali – a Beirut con il primo ministro Mikati e poi con il comandante italiano di Unifil, ad Amman con re Abdullah II – sembra averlo fatto più come ripiego che per esigenze improcrastinabili. Se il vertice del mondo occidentale si riunisce a Berlino, dirsi impegnata nella visita al pur bellissimo palazzo del Re giordano è una magra consolazione. Da una riflessione sul giallo di Berlino siamo partiti nella conversazione con Nicola Latorre. Già capo della segreteria di Massimo D’Alema a Palazzo Chigi, quattro volte senatore, è stato fino al 2023 Direttore Generale dell’Agenzia Industrie Difesa. Latorre insegna Relazioni internazionali in Luiss.
Il treno su cui erano Draghi, Macron e Scholz è passato. È ormai un ricordo. Adesso pare che l’Italia di Giorgia Meloni sia tagliata a fuori dai vertici più importanti, sull’Ucraina…
«La scelta della premier di recarsi in Libano è rispettabile, ma è rilevantissimo il vertice di Berlino. Se non è stata invitata è un segnale preoccupante. Se è stata invitata e ha deciso di non andare, ha sbagliato. Penso e mi auguro che la postura italiana sulla vicenda ucraina e rispetto alle strategie della Nato, nelle intenzioni della nostra Presidente del consiglio continuano ad essere quelle di confermare l’impegno italiano. Ma le posizioni di forze della maggioranza, come la Lega che dichiara ‘Mai più armi all’Ucraina’, alcune ambiguità anche di settori dell’opposizione ,l’apparire insomma timorosi per lisciare il pelo a settori dell’opinione pubblica, rischia di incrinare l’immagine del Paese. E questo nuocerebbe gravemente agli interessi italiani».
Può avere avuto un peso, sulla decisione di tenere Meloni fuori dal vertice quell’atteggiamento italiano al Parlamento europeo, dove tutti – maggioranza e opposizione – hanno detto di no all’uso delle armi sul territorio russo?
«Sì e questo è un elemento che aumenta i motivi di preoccupazioni. Non ne risulta incrinato il nostro atlantismo ma sono atteggiamenti che certificano come il calcolo di propaganda finisca troppo spesso per avere la meglio sulla postura che si renderebbe indispensabile per affrontare questa delicatissima fase geopolitica. La sensazione è che – non soltanto in Italia – stanno prevalendo dei calcoli miopi rispetto a uno scenario che richiederebbe una coraggiosa e determinata iniziativa di alto respiro strategico».
Anche perché l’Europa si gioca tutto, sull’Ucraina. Chi vincerà e chi perderà determinerà le sorti europee per il prossimo mezzo secolo…
«La posta in gioco, l’esito di quel conflitto è dirimente sugli esiti della fase di seria crisi che stiamo attraversando a livello globale. Se la Russia vince una guerra iniziata in violazione di ogni principio del diritto internazionale ,non perde l’Ucraina e si aprono scenari molto preoccupanti con un rischio concreto di nuovi conflitti. . Per l’eterogenesi dei fini sarebbe un esito che allontana la pace».
Zelensky a Bruxelles ha presentato un memorandum in otto punti, di cui tre riservati. Il primo dei cinque resi noti era: “Formalizzare l’invito nella Nato”.
«Iniziativa di far entrare subito l’ucraina nella NATO va considerata nel contesto di un accordo di carattere generale. Abbiamo letto nei giorni scorsi che se si arrivasse a una mediazione, garantire la sicurezza all’Ucraina – con la Russia ai confini dopo tutto quello che è accaduto – diventa una questione fondamentale. Il punto di caduta è che va garantita non solo la pace ma anche la sicurezza permanente in quel Paese».
Lei si è detto da subito favorevole all’uso delle armi anche sul territorio russo.
«Sarebbe stato importante poter colpire prima quelle piattaforme di lancio missilistico, neutralizzarle prima che colpissero i tanti civili ucraini. avremmo risparmiato molte vite umane da entrambe le parti. Bisogna fermare i missili quando sono in rampa di lancio. Se partono dal territorio russo, bisogna neutralizzarli dove partono. Nessuna autorizzazione a colpire Mosca, sia chiaro. E massima precisione sugli obiettivi militari. Ma in chiave difensiva è assolutamente indispensabile poter mettere fuori combattimento le postazioni missilistiche».
L’Italia si è candidata formalmente per ospitare una conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina. Forse dovrebbe, se ci tiene, impegnarsi di più per armare il fronte ucraino…
«Una conferenza sul dopoguerra ucraino sarebbe bella e importante. Ma oggi è presto per parlarne, bisogna andare per gradi e il prossimo step si chiama pace. Il tema non è uno scambio sostegno all’Ucraina in cambio di ricostruzione. La posta in gioco insomma non è la ricostruzione, è qualcosa di più: è la difesa di quel Paese e con esso dei valori liberaldemocratici oltre il ripristino del diritto internazionale. Oggi tutti quelli che criticano l’attacco a Unifil e rivendicano il ruolo delle Nazioni Unite dovrebbero condividere questo obiettivo senza se e senza ma»
Vede troppa ipocrisia, due pesi e due misure?
«Vedo troppo provincialismo e propaganda davanti a questioni che per la loro rilevanza non possono essere piegate a questo scopo».
Davanti a un grande investimento mondiale per la ricostruzione, se si ipotizzassero delle quote per le imprese russe, nel futuro processo di ricostruzione, gli interessi di quella cleptocrazia degli oligarchi finirebbero per imporre a Putin la pace.
«Consiglierei di non correre troppo con la fantasia. Bisogna verificare step by step. Vediamo di far cessare il conflitto, poi vedremo».
L’Europa ha obiettivi importanti, il modello di difesa europeo sta prendendo forma. C’è per la prima volta anche un commissario alla Difesa. Andiamo verso un esercito europeo?
«L’esercito europeo nel breve non lo vedo realizzabile. Vedo invece realizzabile un processo industriale che deve contemplare una progressiva collaborazione tra player industriali, una condivisione della strategia di politica estera, un impegno comune anche per condividere gli indirizzi di investimento nel settore militare. Il punto di caduta di questo processo sarà in futuro, quando possibile, l’esercito europeo. Oggi questa è una prospettiva di medio-lungo periodo. Acceleriamo invece sul processo di integrazione della Difesa europea. Purtroppo, nel passato si questo siamo stati abituati a veder decollare delle iniziative, poi frenate in uno stop and go. Oggi non ce lo possiamo più permettere».
La legge di bilancio sembra indicare un adeguamento delle spese per la Difesa, guardando al 2% previsto dalla Nato.
«Raggiungere questo obiettivo è assolutamente indispensabile. Tantopiù se questo obiettivo viene accompagnato dall’impegno che abbiamo richiamato prima, sulla condivisione europea. Chiunque vinca le elezioni americane, non ci si potrà sottrarre al tema del 2% da destinare agli investimenti in sicurezza. Che oggi diventa un requisito fondamentale per garantire sicurezza al Paese, per assolvere al ruolo che ci spetta nella Nato e più in generale perché la postura militare è diventata fondamentale anche per perseguire obiettivi di politica estera adeguati».
Nel budget della Difesa va considerata in maniera crescente la cybersecurity?
«Innovazione, nuova frontiera, vulnerabilità dei sistemi sono importantissimi. Ma come certifica l’accordo Leonardo-Rheinmetall, abbiamo bisogno di aggiornare anche i sistemi d’arma, i mezzi terrestri. Dobbiamo difendere la rete, certo, ma non possiamo trascurare, con tutte le dovute innovazioni, il terreno. Le ultime vicende lo confermano».
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Guerra Ucraina
Netanyahu tra solidarietà di Trump e l’avvicinamento a Putin: Russia arbitro Medio Oriente, l’idea che piace a Donald
Tutti gli israeliani dicono di sentirsi oltraggiati e abbandonati per la sciagurata emissione del mandato di cattura della Suprema corte dell’Aja contro Bibi Netanyahu, trattato allo stesso livello dei terroristi di Hamas. E per la scarsa solidarietà internazionale nei confronti Israele. Lo sdegno è unanime, e persino più clamoroso quello degli avversari politici del primo ministro. Si può dire che sul piano interno, mai come in questo momento Netanyahu è stato tanto forte, benché sia costretto a presentarsi in aula per il processo in cui è accusato di corruzione. Ma Israele, in questo momento, incassa quanto di più solido possa avere: la solidarietà totale di Donald Trump, il più potente alleato dello Stato ebraico come è mostrato anche dai murales fotografici a Tel Aviv in cui sul volto del Presidente americano eletto si leggono le parole “Trump, fai tornare Israele di nuovo grande”, ispirate al motto Maga.
Mentre il mondo aspetta l’insediamento di Trump, il presidente ancora in carica, Joe Biden, tenta di governare la politica estera degli Stati Uniti (per quanto riguarda il Medio Oriente) sulla stessa linea del suo successore (e predecessore): ha posto il veto alla proposta di risoluzione dell’Onu che ordina una cessazione del fuoco a Gaza, ma senza condizionarla al rilascio degli ostaggi ancora in vita. Una tale proposta è stata considerata inaccettabile da quasi tutte le democrazie del mondo e Biden ha poi dichiarato nullo e inefficace negli Stati Uniti il mandato di cattura emesso dalla Suprema corte dell’Aja, il braccio giudiziario dell’Onu, che ha già emesso un mandato di cattura per Vladimir Putin accusato di aver fatto deportare in Russia migliaia di bambini ucraini strappati alle loro famiglie dopo l’inizio dell’invasione. I Paesi che avevano proposto la risoluzione che ordinava l’immediata cessazione dei combattimenti senza fare alcun accenno alla sorte degli ostaggi ancora in vita sono dieci e il loro documento è stato bloccato dal rappresentante americano all’Onu usando il diritto di veto riservato ai Paesi vittoriosi nella Seconda guerra mondiale. Anche Biden è d’accordo: i mandati di cattura emessi dall’Alta Corte dell’Aja non hanno alcun valore sul suolo americano nel programma repubblicano la diffidenza nei confronti dell’Onu è dichiarata.
Nel frattempo, Trump ha rilasciato una lunga dichiarazione in video del tutto inusuale e decisamente antirusso. Affermando che sotto la sua amministrazione “gli Stati Uniti proteggeranno tutti i loro alleati (senza nominarli ma riferendosi all’Europa) minacciati dai lanci di qualsiasi tipo di missile a corta o lunga gittata. E ha aggiunto che gli Usa non permetteranno ad alcuno di intimidire Paesi alleati e indipendenti. Si tratta di un vero capovolgimento della sua dottrina anti-Nato che minacciava l’abbandono degli alleati che non spendono abbastanza nella difesa.
Il suo discorso è arrivato a poche ore dal lancio di un nuovo missile russo: un missile sperimentale a testata multipla, creato per far partire un ventaglio di diverse testate nucleari. Il missile che è stato usato era armato con esplosivi convenzionali, ma la sua specificità – medio raggio per bersagli multipli – sta nel messaggio implicito: siamo pronti ad usare questo prototipo come vettore nucleare. Per rafforzare il significato, il ministero della Difesa russo ha an nunciato il suo lancio al Pentagono americano trenta minuti prima. L’uso di questa nuova arma assume un significato sinistro se si considera che viene subito dopo la diffusione della cosiddetta dottrina miliare atomica russa secondo la quale il Cremlino considera suo diritto lanciare atomiche contro i Paesi che possiedono armi nucleari e che armano l’Ucraina con missili convenzionali a lunga gittata. Per ora i Paesi che hanno fornito missili a lungo raggio all’Ucraina (che li ha subito usati) sono gli Stati Uniti e il Regno Unito.
Ma ecco una seconda sorpresa che riguarda la politica estera di Trump. Ne dà notizia principalmente il Wall Street Journal, ma non solo. La premessa che è sfuggita per lo più a tutti è che Israele ha ripreso i rapporti con la Russia di Putin, dopo lo sdegno per la solidarietà del presidente russo nei confronti di Hamas i cui capi furono ricevuti al Cremlino con tutti gli onori dopo i crimini del 7 ottobre 2023. La Russia ha rilanciato il suo rapporto riservato se non segreto con Israele. In questi anni la Russia, più ancora dell’Iran, ha rifornito il movimento sciita di Hezbollah con armi di alta qualità da usare contro Israele. Israele è stata informata sia dagli americani che dagli stessi russi che hanno aperto un tavolo di trattative con Israele (di cui è ben a conoscenza Trump, come la Casa Bianca e il dipartimento di Stato) per trovare una soluzione che chiuda le due guerre – Ucraina e Medio Oriente – concedendo qualcosa alla Russia in cambio di una certa flessibilità con Kiev.
L’idea, caldeggiata da Trump e con il consenso di Israele, sarebbe quella di concedere alla Russia un ruolo di arbitrato e di influenza sul Medio Oriente, un’area dalla quale gli Stati Uniti vogliono ritirarsi salvo mantenere una presenza militare che garantisca Israele. Israele sarebbe sollevata dall’incubo degli Hezbollah che lascerebbero il Libano e potrebbe dare inizio con l’Arabia Saudita al famoso “Accordio di Abramo” per un rinascimento tecnologico e commerciale in tutto il Medio Oriente, relegando ai margini il regime di Teheran che in questo momento è sotto sorveglianza internazionale per aver violato gli accordi sull’uranio arricchito.
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Guerra Ucraina
Escalation coreana: “Truppe al fronte”
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