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Guerra Ucraina

Pigi Battista, il j’accuse liberale: “Se l’Occidente dà la caccia agli ebrei rinnega se stesso e pone le basi per la sua stessa fine”

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Pierluigi Battista, editorialista di lungo corso al Corriere della Sera e poi dell’HuffPost è tra gli opinion leader del mondo liberale: quel maledetto 7 ottobre di un anno fa ha capito che nel mondo era intervenuta una cesura radicale, tra il prima e il dopo, destinata a far precipitare lo scontro di civiltà. In questi giorni è uscito con Liberi Libri il suo “La nuova caccia all’ebreo”.

Israele e il fronte di guerra in Libano, sarà il capitolo conclusivo della guerra in Medio Oriente?
«Non credo che sarà la fase finale. Sarà solo quando saranno battute le forze che vogliono cancellare lo Stato di Israele dalle carte geografiche. Quando verrà riconosciuto da tutti il principio dei due popoli, due Stati. Si potrà allora pensare alla fine. Sapendo che nella storia tutte le conclusioni sono destinate ad essere provvisorie».

Mentre l’Occidente combatte in Medio Oriente tramite Israele, in Italia sembriamo stare su un altro pianeta. Siamo parte di un altro film. Perché e fino a quando potremo permettercelo?
«Tutto l’Occidente è su un altro pianeta. Quello che accade in Italia accade in Europa. Gli studenti ebrei – come scrivo nel mio libro La nuova caccia all’ebreo – vengono cacciati da Sciences Po a Parigi, da Harward, da Roma e da Torino. Questa nuova forma di antisemitismo è comune a tutti, ed è forte anche negli Stati Uniti».

Un nuovo antisemitismo che diventa antioccidentalismo. Una nuova negazione dell’identità occidentale, indebolita, resa ancor più fragile dalla sua insipienza…
«Diciamo che è vittima del senso di colpa dell’Occidente: sta passando l’idea che l’Occidente sia il responsabile, il colpevole unico di tutti i crimini commessi nella storia dell’umanità. E quindi Israele, come articolazione dell’Occidente, è espressione di tutti i crimini sull’umanità. È dalla parte degli oppressori contro gli oppressi. Questa è la rappresentazione che i nemici dell’Occidente stanno facendo passare dentro l’Occidente, e quindi anche in Italia».

Senza incontrare una capacità di contrasto da parte della cultura liberaldemocratica, va detto.
«La cultura liberaldemocratica è alla mercé di questa narrazione, come si vede nelle piazze e nell’informazione. E nelle università. Sta culturalmente vincendo l’ideologia Woke, la cui forza simbolica ed evocativa sta nel fatto che ridisegna il mondo come una grande guerra tra l’oppressore e l’oppresso. Gli ebrei, visti come emanazione dell’Occidente e quindi degli oppressori, in questa rappresentazione finiscono per essere i cattivi. Sempre».

Anche davanti agli orrori indicibili, mostruosi che abbiamo purtroppo dovuto vedere e documentare il 7 ottobre scorso?
«Anche se Hamas stupra donne ebree, uccide bambini ebrei, commettendo crimini indicibili, viene detto che lo fanno come gesto estremo di resistenza. I loro crimini sono atti resistenziali: se vogliamo usare una terminologia del passato sono ‘compagni che sbagliano’. E questo implica una minimizzazione di tutti gli orrori commessi da quel fronte».

Per esempio quali?
«Vogliamo parlare della Siria, dove ci sono stati migliaia e migliaia di morti in una guerra civile sanguinosa in cui hanno avuto responsabilità anche i russi? Lo sterminio dei curdi ad opera dei turchi? La strage degli Iuguri, popolazione musulmana della Cina? L’eccidio del Sud Sudan, con quattrocentomila morti. Tutti eccidi efferati dei quali si parla poco e niente. Le università si sono mobilitate per qualcuno di questi fatti? E i giornali? E il Tribunale de L’Aja?».

Ipocrisia.
«Sì, è ipocrisia. E l’Italia, provincia dell’impero, non è diversa da altri. Con una diffusione dell’antisemitismo che non è mai stata così violenta dai tempi della Shoah».

Non è molto diversa la sudditanza culturale alle autocrazie, la fascinazione per Putin. E il voto all’Europarlamento lo dimostra.
«Il filoputinismo è diffuso. Quando Papa Francesco dice che la Nato è ‘andata ad abbaiare ai confini della Santa Russia’ dice che in fondo Putin ha delle ragioni. E lo pensano in molti. Però al di là del voto europeo, il governo italiano si è comportato fino ad ora benissimo: sta dalla parte di Zelensky e dà le armi che servono».

Da quel punto di vista destra e sinistra si equivalgono?
«No, la sinistra è molto peggio. Con l’eccezione di alcuni riformisti nel Pd, mosche bianche. La sinistra ha sposato le ragioni di Putin. Non dico che qualcuno di loro è a libro paga di Putin, per carità. Dico che la loro idea di trattativa di pace, basata sulla cessione di territorio ucraino, uno stato sovrano centroeuropeo alla Russia, coincide con le richieste di Mosca».

Rimane un tabù, per quasi tutti gli europarlamentari italiani, quell’articolo 8…
«Non si parla di bombardare Mosca o San Pietroburgo ma le postazioni missilistiche che fanno strage di civili in Ucraina. Alla fine chi capisce di tecniche di difesa militare sa che è un infingimento quello dell’autodifesa dentro i propri confini: missili e droni vanno fermati prima che partano, non all’arrivo».

Come si rilancia, come si ritorna a difendere l’Occidente?
«Con una battaglia culturale e politica di lungo corso. Bisogna far capire che all’Occidente si deve la storia del progresso mondiale: la scienza, la tecnologia, la medicina. Dovremmo far capire anche ai più giovani che essere italiani, europei, occidentali ci carica di responsabilità ma anche di orgoglio. E che se l’Occidente dà la caccia agli ebrei rinnega se stesso e pone le premesse per la sua fine più ingloriosa».

L’articolo Pigi Battista, il j’accuse liberale: “Se l’Occidente dà la caccia agli ebrei rinnega se stesso e pone le basi per la sua stessa fine” proviene da Il Riformista.

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Guerra Ucraina

Zelensky e la settimana della diplomazia per una “pace giusta”. Ora servono più armi contro la Russia

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Londra, Parigi, Roma, Berlino. Per il presidente ucraino Volodymyr Zelensky quello di questa settimana è un vero tour de force diplomatico, che per quanto riguarda l’Italia ha un duplice valore, visto che prima è stato programmato l’incontro di ieri con la premier Giorgia Meloni e oggi quello con Papa Francesco in Vaticano. Un viaggio tra le principali capitali europee con lo scopo di non far dimenticare al Vecchio Continente la guerra che dal febbraio del 2022 sconvolge Kiev.

Il punto

Zelensky sa che questo è un momento cruciale per la sua agenda estera. La situazione sul campo di battaglia è difficile, con le forze russe che non mollano sul fronte orientale e aumentano la loro pressione per riuscire a conquistare più villaggi possibile nel Donbass. E mentre le forze di Mosca marciano in direzione di Pokrovsk, le forze ucraine continuano a chiedere quello che ormai è la costante di tutte le richieste di Kiev agli alleati: più armi, più sistemi per la difesa aerea e soprattutto l’autorizzazione a utilizzare le armi a lungo raggio fabbricate in Occidente, anche per colpire all’interno della Federazione Russa. Richieste chiare, che Zelensky pone da tempo agli alleati. Ma le discussioni nell’Alleanza atlantica non si sono mai fermate, complici i dubbi di molti paesi membri riguardo le implicazioni politiche di questo semaforo verde e l’efficacia sul campo di battaglia. Effetti che per molti sarebbero ridotti, o comunque troppo pochi rispetto ai rischi di un’eventuale reazione del Cremlino e al potenziale allargamento del conflitto anche tra Russia e Nato.

Tensione massima

Superare queste ultime cosiddette linee rosse è essenziale per Zelensky che – dopo la decisione di invadere l’oblast di Kursk ad agosto – ha fatto capire che le sue truppe, per quanto provate da anni di resistenza e da un reclutamento via via più ridotto, possono ancora colpire nel cuore della Federazione così come fanno le forze aeree con i droni. Ieri mattina l’esercito russo aveva detto che la sua contraerea aveva “distrutto e intercettato 92 droni aerei ucraini”, di cui 47 nella regione di Krasnodar, nel sud-ovest del paese, e 12 proprio nella regione di Kursk. Altri 15 droni sono stati intercettati sul Mar d’Azov, mentre diversi velivoli sono stati abbattuti negli oblast Rostov, Bryansk, Belgorod, nella penisola di Crimea e nell’area di Voronezh. E il segnale lanciato da Kiev è che – a determinate condizioni – le sue forze potrebbero colpire in maniera ancora più pesante le truppe e il territorio russo, cercando così di alleggerire il fronte orientale e la controffensiva di Mosca nel Kursk, dove l’Armata vorrebbe concludere la riconquista entro questo mese (almeno nelle più rosee previsioni di Vladimir Putin).

La pace giusta

Zelensky è convinto che sia possibile cambiare gli equilibri, anche per evitare di arrivare al negoziato con un fronte orientale indebolito e con l’operazione dentro la Federazione russa che rischia di vacillare. È anche per questo che il presidente ucraino è in Europa. Perché – nonostante la cancellazione del vertice nella base tedesca di Ramstein – il leader del paese invaso sa che è necessario tenere alta l’attenzione e convincere i suoi partner che non è possibile, in questo momento, arrivare a un’intesa con il Cremlino. Lo ha confermato lo stesso Zelensky parlando ieri a Parigi al termine dell’incontro con Emmanuel Macron, quando ha detto che il cessate il fuoco “non è un argomento delle nostre discussioni”. “Non abbiamo parlato di un cessate il fuoco”, ha ribadito il capo dello Stato, che ha invece sottolineato di nuovo la necessità di ricevere più aiuti possibili prima che arrivi l’inverno. Una stagione che si preannuncia durissima per la popolazione ucraina, non solo per le privazioni della guerra ma anche per le conseguenze dei bombardamenti russi su larga parte delle centrali elettriche del paese. Il pericolo di un inverno al buio e al gelo è estremamente elevato. E, nonostante l’impegno promesso anche dall’Unione europea per aiutare Kiev su questo tema, Zelensky e il suo governo sanno che l’attenzione deve essere massima.

Ne ha parlato con Macron, così come a Londra ne ha discusso con il primo ministro Keir Starmer e il nuovo segretario generale della Nato, Mark Rutte, con i quali ha parlato anche di “integrazione euro-atlantica e rafforzamento militare dell’Ucraina”. “Questi sono i passi che creeranno le migliori condizioni per ripristinare una pace giusta”, ha detto il presidente ucraino su X. Ma sull’integrazione nell’Alleanza e le discussioni riguardo l’eventuale ingresso di Kiev è arrivato un nuovo durissimo commento da parte dell’Ungheria di Viktor Orbán. Il ministro degli Esteri Péter Szijjártó, a margine del Forum internazionale sul gas di San Pietroburgo, ha detto che “se l’Ucraina venisse accettata come membro della Nato nelle attuali circostanze, significherebbe lo scoppio di una Terza guerra mondiale”. E queste parole confermano che in ambito Nato e Ue il dibattito rischia di farsi sempre più acceso.
Da Bruxelles, però, su Kiev non c’è alcuna marcia indietro. Rutte, che pure ha ammesso che la Russia – al netto delle perdite – sta avanzando sul fronte orientale dell’Ucraina, ha ribadito l’impegno ad aiutare politicamente e militarmente il paese. E i documenti trapelati dai media tedeschi hanno lanciato un segnale cristallino sull’attenzione della Nato riguardo il fianco est, visto che si parla di un aumento di 49 brigate “combat ready” entro il 2031. In sostanza, 150mila uomini in più pronti a essere schierati in caso di necessità.

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