Guerra Ucraina
Per Putin la guerra è un problema condominiale discusso col linguaggio nazista: i ‘banditi’ ucraini diventano ‘provocatori’
Putin prima di partire per la Mongolia – paese che avrebbe il dovere di arrestarlo in base al mandato di cattura emesso dalla Corte dell’Aja – ha parlato della guerra ai suoi concittadini. Il suo atteggiamento e il registro sono i soliti, ispirato a una calma annoiata e un tono pretesco. La sua retorica consiste nella banalizzazione accompagnata da minacce, secondo la più schietta tradizione sovietica. Ha parlato della guerra come si parla di un problema condominiale e poi è partito per la Mongolia, uno dei paesi vincolati all’impegno di eseguire gli ordini di arresto emessi dall’Alta Corte, organo delle Nazioni Unite. Sia Putin che il governo della Mongolia hanno risposto confermando lo stesso disprezzo per le leggi che dovrebbero regolare l’ordine internazionale così come era stato definito dopo la Seconda guerra mondiale (che i russi per prudenza chiamano “Grande Guerra Patriottica” per oscurare il dettaglio di essere stati cobelligeranti dei nazisti dal settembre 1939 al giugno 1941). Quell’ordine era macchinoso e idealistico ma fondato su un comandamento: mai più si tollererà che un paese sovrano invada e rubi territorio a un altro paese sovrano. Nel mondo era già accaduto (ad esempio con l’ingiustificata invasione americana dell’Iraq, cui seguì il ritiro degli invasori anche per una profonda crisi politica) ma non era mai successo in Europa, il continente in cui scoppiano le guerre mondiali.
Il comandamento infranto
Vladimir Vladimirovic saggiò la tenuta di questo comandamento e lo fece una prima volta nel 2008 invadendo un paese europeo che si chiama Georgia e constatò che, salvo alcuni esagitati fra cui chi scrive, la sua invasione non aveva scandalizzato nessuno. Qualche strepito formale, ma nulla di concreto. Aveva già mostrato al suo paese e al mondo la sua durezza quando in Cecenia dette ordine di gasare gli spettatori di un cinema per uccidere due ricercati. Il mondo era inerte. Elettroencefalogramma piatto. Che vuoi che sia. Nel 2014 invase spudoratamente l’Ucraina e si prese la Crimea poi mandò “gli strani omini verdi” a provocare scontri nel Donbass e finalmente nel febbraio del 2022 passò all’invasione globale dell’Ucraina. Tutti dissero: che cosa orribile, che cosa inaccettabile, speriamo che faccia in fretta altrimenti ci andremo di mezzo anche noi.
La mossa ucraina
Saltiamo il resto e arriviamo al 6 agosto scorso, un mese fa, quando l’Ucraina ha compiuto un atto militare imprevisto: ha contro-invaso l’invasore russo con un piccolo esercito molto efficiente che ha preso l’oblast di Kursk e punta su Belgorod distruggendo ponti, strade e depositi di carburante destinati al corpo di spedizione russo che sta sfondando nel Donbass. I russi sanno poco o niente e quel che sanno viene dai racconti delle centinaia di migliaia di profughi costretti ad abbandonare le loro case per colpa della stessa guerra che la Russia ha scatenato in Ucraina. Con la differenza che i soldati ucraini che stanno combattendo in Russia non hanno stuprato donne, massacrato civili e sparso il terrore come hanno fatto i mercenari russi in Ucraina.
Prima di partire per la Mongolia, facendosi beffa del mandato di cattura emesso per aver fatto deportare in Russia migliaia di bambini ucraini strappati alle loro famiglie, Vladimir Vladimirovic si è seduto davanti alla telecamera e ha parlato ai russi della sua guerra di aggressione contro l’Ucraina usando quel suo tono talmente informale e dimesso fino a contenere informali incertezze sulle parole e qualche balbettio. E così ha detto ai russi che la sua invasione dell’Ucraina sta andando benissimo perché finalmente nel Donbass “non avanziamo più di qualche centinaio di metri, ma di decine di chilometri quadrati”. Ed ha aggiunto che a questo punto qualsiasi persona normale (ma non quei mascalzoni degli ucraini) si deciderebbe a chiedere di aprire trattative di pace, cioè di resa. Ma ancora danno segni di ostinazione pur sapendo che noi (avendo preso quella parte dell’Ucraina che volevamo) siano pronti a trattare.
I banditi
E solo a questo punto Putin sfodera il ferro di una parola sovietica che ci ha deliziato per decenni: “provocàzja”, la provocazione. Ovvero ogni legittima azione di guerra degli aggrediti, in questo caso dei soldati ucraini entrati in Russia. Per questi soldati che hanno legittimamente varcato i confini dell’aggressore, ha un solo nome da usare: banditi. Non soldati in guerra per difendersi. Come ai tempi dell’Unione sovietica quando ogni resistenza nell’orbita imperiale russa veniva definita sempre come “provocazione banditesca”. Lo stesso linguaggio dei nazisti che indicavano le zone in mano ai partigiani con cartelli con la scritta “Achtung Banditen!”, attenzione banditi.
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Altro che bipolarismo. A Strasburgo tutti insieme appassionatamente (con tre lodevoli eccezioni), una sorta di nuova unità nazionale contro l’Europa “guerrafondaia”. Succede al Parlamento europeo durante il voto sulla risoluzione per il sostegno all’Ucraina. Il “famigerato” articolo 8, quello che revoca le restrizioni per l’uso delle armi occidentali in territorio russo, incredibilmente vede compatti gli eurodeputati italiani di Fratelli d’Italia, del M5S, della Lega, di Avs, del Pd e di Forza Italia, in pratica l’intero arco parlamentare che vota per mantenere il divieto.
Eurodeputati italiani compatti, le 4 eccezioni
Una nuova versione di “pasta, pizza e mandolino” con una spruzzata di stop per l’Ucraina. Solo quattro gli eurodeputati italiani che votano a favore della revoca come i loro gruppi europei di appartenenza (Ppe e S&D): Massimiliano Salini e Giuseppina Princi di Forza Italia, la vicepresidente Pina Picierno ed Elisabetta Gualmini del Pd. Contrari tutti gli altri deputati europei eletti in Italia che finiscono in minoranza, l’aula approva infatti l’articolo con 377 voti a favore, 191 contrari e 51 astenuti.
Il fritto misto sul voto finale
Sul voto finale, invece, il “bipolarismo” va in frantumi: scompare l’unità nazionale, ritorna in auge il fritto misto. Il centrodestra vota compatto a favore del sostegno all’Ucraina, con la vistosa eccezione della Lega; il campo largo si scompone, con il sì di una parte del Pd (e con l’eloquente astensione di due fiori all’occhiello di Elly Schlein: Cecilia Strada e Marco Tarquinio), il no del M5S (risorge l’antica maggioranza del Conte uno), dei Verdi (in dissenso dal loro gruppo) e di Sinistra italiana. Ne esce indubbiamente non una bellissima rappresentazione della politica italiana, che si distingue dal resto d’Europa su un punto chiave: la possibilità che l’Ucraina possa rispondere ad “armi” pari all’aggressione inferta dalla Russia.
Lo spiega l’eurodeputato Sandro Gozi, membro della presidenza di Renew: “Chi oggi ha votato in maniera contraria al punto 8 della risoluzione ha fatto un favore alla Russia. La difesa del popolo ucraino, che si batte ogni giorno per i nostri valori di libertà e democrazia, non si fa soltanto con le passerelle dei ministri o sventolando bandiere all’occorrenza, ma attraverso decisioni come questa”. Una responsabilità che si assumono la presidente del Consiglio e il ministro degli Esteri Antonio Tajani, e che riguarda pesantemente anche il Nazareno.
Il voto che distrugge il campo largo
Il voto di ieri a Strasburgo, di fatto, “distrugge” il campo largo. Una dissoluzione prevista e peraltro già lampante due settimane fa nel corso di un confronto sulla politica internazionale al Forum Ambrosetti. Elly Schlein, Giuseppe Conte, Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni hanno posizioni diametralmente opposte tra loro sui temi più dirimenti: Unione europea, reazione a Putin, Medio Oriente. Con un paradosso: il partito di Giuseppe Conte e quello dei gemelli dell’Alleanza Verdi e Sinistra sono molto più allineati alle posizioni del “vituperato” Generale Vannacci.
Fragilissimo anche l’equilibrio in casa Pd, dove di fatto l’area riformista di Lorenzo Guerini appare sempre di più come separata in casa. Elly Schlein però è riuscita in un “miracolo”: allontanare la delegazione italiana dalle posizioni maggioritarie nel gruppo europeo socialista. E anche qui, un altro paradosso: l’inattesa (come si è autodefinita nel libro appena edito da Feltrinelli) in questo modo ha fatto un passo verso Giorgia Meloni (il governo Italiano è contrario alla revoca del divieto alle armi occidentali fuori dal territorio ucraino).
Il coraggio e l’eroismo di chi si è distinto anche da Tajani
Restano qua e là posizioni isolate. Intanto l’amarezza del libdem Andrea Marcucci, che partecipò all’avventura elettorale di Stati Uniti d’Europa: “Ecco il prezzo di non avere eletti liberali”. La coerenza del riformista dem, Filippo Sensi: “Approvata a larghissima maggioranza – 425 voti favorevoli – la risoluzione di sostegno del Parlamento Ue all’Ucraina, compreso il richiamo a poter colpire in territorio russo. L’Europa dalla parte giusta”. Il coraggio delle due eurodeputate Pd, che hanno annunciato in anticipo il loro voto favorevole, la vicepresidente Pina Picierno ed Elisabetta Gualmini – sapendo di dare un dispiacere al capo delegazione Nicola Zingaretti – e di Giorgio Gori, non presente in Aula ma che avrebbe votato come loro. L’eroismo degli azzurri Giuseppina Princi e Massimiliano Salini, che si distinguono dal loro segretario nonché capo della Farnesina.
Seppure in modo meno dirompente, un problema ce l’ha anche la maggioranza di governo, ed è il solito dall’inizio della legislatura: si chiama Matteo Salvini. Le posizioni della Lega sono sempre conflittuali con la presidente del Consiglio, una divaricazione che non si registra solo sullo scenario internazionale. Via Bellerio ha e avrà nei prossimi mesi nel “mirino” Ursula von der Leyen, la presidente della Commissione Ue che ha appena designato un ex ministro, collega del segretario della Lega, nella nuova Commissione. I Patrioti (casa europea della Lega e dell’ungherese Orbán) gli faranno la guerra? Certo, mai come questa volta alla plenaria del Parlamento europeo, “gli italiani si sono fatti riconoscere”. E non è un complimento.
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