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Guerra Ucraina

La caduta del caccia F-16: come è morto Moonfish, fuoco amico o attacco russo. Guerra a un punto chiave

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La caduta del primo F-16 ucraino non è solo un problema per le forze di Kiev, ma anche un segnale d’allarme per l’intero Occidente. La morte del pilota Oleksiy Mes, alias “Moonfish”, uno dei grandi protagonisti dell’aeronautica ucraina, è ancora oggetto di indagini. Tra chi sostiene che si sia trattato di fuoco amico, chi di uno schianto durante “il peggior attacco aereo di sempre” da parte della Russia.

Come è morto Moonfish?

“Durante l’avvicinamento all’obiettivo, la comunicazione con uno degli aerei è andata persa. Come si è scoperto in seguito, l’aereo si è schiantato mentre respingeva un massiccio attacco combinato di missili e aerei russi e dopo aver distrutto tre missili da crociera e un drone d’attacco” ha concluso la nota delle forze armate. Da Mosca, invece, hanno commentato con ironia, sostenendo addirittura che il caccia sia stato abbattuto per errore da un sistema antiaereo Patriot. Sempre americano.

Nessuna rivoluzione con caccia F-16

Ma mentre si sommano le ipotesi, le speculazioni e le richieste di chiarimenti, resta l’importanza dell’episodio, che ha mostrato due elementi fondamentali per capire l’evoluzione del conflitto e della difesa ucraina. Uno è certamente il segnale sul fatto che i caccia F-16, emblema del supporto bellico occidentale a Kiev, non sono la soluzione definitiva al problema della difesa aerea del Paese. E in generale per dare la svolta alla resistenza. Gli esperti avevano da tempo avvertito sul fatto che questi jet, per quanto di certo utili nelle logiche della guerra, non potevano rappresentare al momento una rivoluzione del campo di battaglia. Tra la poca esperienza dei piloti, la scarsità di mezzi a disposizione, e soprattutto con una Russia che ha ancora un’evidente superiorità sia nel numero dei caccia sia dei sistemi di contraerea, l’aviazione di Kiev compirebbe un miracolo se riuscisse a riequilibrare le forze.

Le parole di Zelensky prima della tragedia

E l’incidente che ha visto morire “Moonfish” è un monito che ricorda la difficoltà che vive l’Ucraina in questa fase del conflitto. Solo pochi giorni fa, il presidente Volodymyr Zelensky aveva annunciato in maniera entusiasta l’utilizzo di questi aerei. “Abbiamo già distrutto alcuni missili e droni usando gli F-16”, aveva detto il capo dello Stato solo 48 ore prima dell’incidente. Ma Zelensky era stato anche realista, ammettendo che servirebbero almeno 120 F-16 per raggiungere la “parità” con la Russia.
Numeri che di certo non sono paragonabili a quelli attualmente a disposizione di Kiev, ma che certificano le difficoltà tattiche e strategiche. Che non sono certo terminate con l’arrivo dei primi jet di fabbricazione americana (in larga parte vecchi e ceduti dai partner Nato per sostituirli con mezzi più moderni) e che non sono finite nemmeno con la sorprendente invasione del Kursk.

L’Ucraina e il via libera per utilizzare armi in Russia

La conferma arriva anche dalle più recenti richieste di Zelensky, che nonostante la capacità mostrata dalle forze ucraine di penetrare decine di chilometri oltre il confine russo, e di mettere a nudo le falle nella difesa di Vladimir Putin, non ha mai smesso di premere sui partner occidentali. Sia per autorizzare l’attacco in profondità con i sistemi forniti dai Paesi europei e dagli Stati Uniti. Sia per aumentare la fornitura di missili e altre armi. Kiev vuole Himars, Atacms, Storm Shadow, i Taurus. E vuole che gli alleati (soprattutto gli Usa) diano il via libera al loro utilizzo per colpire nel cuore della Federazione. E gli input arrivati da Kiev non si sono affatto fermati con l’incursione nel Kursk e con la dimostrazione di forza realizzata questo agosto negli oblast meridionali di Putin. Il motivo è che Zelensky sa che questa invasione rischia di non essere risolutiva, al pari dell’arrivo dei primi caccia e del loro impiego operativo.

Momento decisivo della guerra

Mosca non ha ancora messo in moto tutta la sua macchina bellica per respingere l’invasione, con lo “zar” che appare ancora in una fase di minimizzazione della crisi. Ma nel frattempo, l’Armata continua a spingere a est e anche ieri la Difesa russa ha annunciato la conquista di altri tre villaggi: Novojelanne e Kostiantynivka, nella regione di Donetsk, e Synkivka, nella regione di Kharkiv. Nel frattempo, Putin, per evitare di muovere truppe dal fronte interno, richiamando uomini dagli angoli del suo “impero”. Un centinaio di paramilitari della “Brigata Orsi”, compagnia di contractors del Cremlino, ha lasciato il Burkina Faso per essere schierata in Crimea.
E in attesa di capire le prossime mosse, Putin e Zelensky concordano su una cosa: entrambi sanno che questo può essere un momento decisivo della guerra.

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Guerra Ucraina

Il drone-rebus che stana i russi

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Il missile “Palyanytsia”: è il nome del pane che le spie di Mosca non sapevano pronunciare

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Guerra Ucraina

Armi Ue in Russia, l’Italia lancia il campo “orbániano”: le 4 eroiche eccezioni Gualmini, Picierno, Salini e Princi

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Altro che bipolarismo. A Strasburgo tutti insieme appassionatamente (con tre lodevoli eccezioni), una sorta di nuova unità nazionale contro l’Europa “guerrafondaia”. Succede al Parlamento europeo durante il voto sulla risoluzione per il sostegno all’Ucraina. Il “famigerato” articolo 8, quello che revoca le restrizioni per l’uso delle armi occidentali in territorio russo, incredibilmente vede compatti gli eurodeputati italiani di Fratelli d’Italia, del M5S, della Lega, di Avs, del Pd e di Forza Italia, in pratica l’intero arco parlamentare che vota per mantenere il divieto.

Eurodeputati italiani compatti, le 4 eccezioni

Una nuova versione di “pasta, pizza e mandolino” con una spruzzata di stop per l’Ucraina. Solo quattro gli eurodeputati italiani che votano a favore della revoca come i loro gruppi europei di appartenenza (Ppe e S&D): Massimiliano Salini e Giuseppina Princi di Forza Italia, la vicepresidente Pina Picierno ed Elisabetta Gualmini del Pd. Contrari tutti gli altri deputati europei eletti in Italia che finiscono in minoranza, l’aula approva infatti l’articolo con 377 voti a favore, 191 contrari e 51 astenuti.

Il fritto misto sul voto finale

Sul voto finale, invece, il “bipolarismo” va in frantumi: scompare l’unità nazionale, ritorna in auge il fritto misto. Il centrodestra vota compatto a favore del sostegno all’Ucraina, con la vistosa eccezione della Lega; il campo largo si scompone, con il sì di una parte del Pd (e con l’eloquente astensione di due fiori all’occhiello di Elly Schlein: Cecilia Strada e Marco Tarquinio), il no del M5S (risorge l’antica maggioranza del Conte uno), dei Verdi (in dissenso dal loro gruppo) e di Sinistra italiana. Ne esce indubbiamente non una bellissima rappresentazione della politica italiana, che si distingue dal resto d’Europa su un punto chiave: la possibilità che l’Ucraina possa rispondere ad “armi” pari all’aggressione inferta dalla Russia.

Lo spiega l’eurodeputato Sandro Gozi, membro della presidenza di Renew: “Chi oggi ha votato in maniera contraria al punto 8 della risoluzione ha fatto un favore alla Russia. La difesa del popolo ucraino, che si batte ogni giorno per i nostri valori di libertà e democrazia, non si fa soltanto con le passerelle dei ministri o sventolando bandiere all’occorrenza, ma attraverso decisioni come questa”. Una responsabilità che si assumono la presidente del Consiglio e il ministro degli Esteri Antonio Tajani, e che riguarda pesantemente anche il Nazareno.

Il voto che distrugge il campo largo

Il voto di ieri a Strasburgo, di fatto, “distrugge” il campo largo. Una dissoluzione prevista e peraltro già lampante due settimane fa nel corso di un confronto sulla politica internazionale al Forum Ambrosetti. Elly Schlein, Giuseppe Conte, Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni hanno posizioni diametralmente opposte tra loro sui temi più dirimenti: Unione europea, reazione a Putin, Medio Oriente. Con un paradosso: il partito di Giuseppe Conte e quello dei gemelli dell’Alleanza Verdi e Sinistra sono molto più allineati alle posizioni del “vituperato” Generale Vannacci.
Fragilissimo anche l’equilibrio in casa Pd, dove di fatto l’area riformista di Lorenzo Guerini appare sempre di più come separata in casa. Elly Schlein però è riuscita in un “miracolo”: allontanare la delegazione italiana dalle posizioni maggioritarie nel gruppo europeo socialista. E anche qui, un altro paradosso: l’inattesa (come si è autodefinita nel libro appena edito da Feltrinelli) in questo modo ha fatto un passo verso Giorgia Meloni (il governo Italiano è contrario alla revoca del divieto alle armi occidentali fuori dal territorio ucraino).

Il coraggio e l’eroismo di chi si è distinto anche da Tajani

Restano qua e là posizioni isolate. Intanto l’amarezza del libdem Andrea Marcucci, che partecipò all’avventura elettorale di Stati Uniti d’Europa: “Ecco il prezzo di non avere eletti liberali”. La coerenza del riformista dem, Filippo Sensi: “Approvata a larghissima maggioranza – 425 voti favorevoli – la risoluzione di sostegno del Parlamento Ue all’Ucraina, compreso il richiamo a poter colpire in territorio russo. L’Europa dalla parte giusta”. Il coraggio delle due eurodeputate Pd, che hanno annunciato in anticipo il loro voto favorevole, la vicepresidente Pina Picierno ed Elisabetta Gualmini – sapendo di dare un dispiacere al capo delegazione Nicola Zingaretti – e di Giorgio Gori, non presente in Aula ma che avrebbe votato come loro. L’eroismo degli azzurri Giuseppina Princi e Massimiliano Salini, che si distinguono dal loro segretario nonché capo della Farnesina.

Seppure in modo meno dirompente, un problema ce l’ha anche la maggioranza di governo, ed è il solito dall’inizio della legislatura: si chiama Matteo Salvini. Le posizioni della Lega sono sempre conflittuali con la presidente del Consiglio, una divaricazione che non si registra solo sullo scenario internazionale. Via Bellerio ha e avrà nei prossimi mesi nel “mirino” Ursula von der Leyen, la presidente della Commissione Ue che ha appena designato un ex ministro, collega del segretario della Lega, nella nuova Commissione. I Patrioti (casa europea della Lega e dell’ungherese Orbán) gli faranno la guerra? Certo, mai come questa volta alla plenaria del Parlamento europeo, “gli italiani si sono fatti riconoscere”. E non è un complimento.

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Guerra Ucraina

Zelensky, missione Usa. Visita da Trump e Harris per il “piano della vittoria”

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Il leader ucraino nei prossimi giorni negli States. Stoltenberg: “No a una Minsk 3”

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