Guerra Ucraina
Armi UE in Russia, Picierno e il sì all’art. 8: “Sacrosanto colpire i luoghi da cui partono gli attacchi. Porteremo Putin alla resa”
Pina Picierno è una combattente per la democrazia, che in questo periodo di crisi geopolitica fa rima con diplomazia. Europarlamentare per il Partito Democratico dal 2014 e vicepresidente del Parlamento europeo dal 2022, in precedenza è stata anche deputata alla Camera dal 2008 al 2014. Slegata dalle logiche di corrente, è stata l’unica, insieme alla collega Gelmini a votare per il sostegno militare a Kiev e per l’articolo 8, che autorizza l’uso di armi occidentali in funzione difensiva sul territorio russo. «Non ho mai cambiato idea, rafforzare la democrazia significa lottare contro chi la vuole distruggere», ci dice.
Quello di giovedì è stato un voto importante, sull’Ucraina. Sul quale lei ha tenuto il punto, senza timori.
«Il Parlamento Europeo ha confermato di essere all’altezza delle sfide che attendono il nostro continente, la posta in gioco non è solo la difesa dell’Ucraina ma il futuro dell’Unione, la sua sicurezza e la vittoria della democrazia sulle autocrazie. Ho tenuto il punto perché a Bruxelles ho imparato che quello che accade qui non è un incidente della storia ma è la chiave di risoluzione delle crisi che ci troveremo affrontare».
Aveva ricevuto pressioni, indicazioni dalla direzione del partito su questo voto?
«Il Partito Democratico non fa pressioni, non ne ha mai fatte. È democratico sul serio. Chi mi conosce sa che non sono tipa che subisce pressioni, dovrebbero correre se solo ci provassero. Indicazioni certamente, ne abbiamo discusso nella nostra delegazione come è giusto che sia. Punti di vista diversi. Responsabilmente, come siamo abituati a fare, li abbiamo rispettati tutti. Ma ancor più responsabilmente abbiamo in larga misura condiviso il voto finale sulla risoluzione. Altrimenti oggi non parlerei di pluralismo ma di superficialità e inaffidabilità».
L’Ucraina ha diritto di difendersi annientando la forza offensiva della Russia prima che uccida, è questo il principio che sostiene con il suo voto?
«Credo che colpire i luoghi da cui partono gli attacchi contro le infrastrutture civili e militari dell’Ucraina sia sacrosanto e in linea col diritto all’autodifesa dell’Ucraina, con le convenzioni internazionali e l’articolo 11 della nostra Costituzione. Putin utilizza la propaganda e il terrore per evocare scenari apocalittici da terza guerra mondiale. Basterebbe leggere bene gli andamenti economici della Russia per capire che è un Paese in via di fallimento, legato ad una dipendenza totale da paesi terzi che a breve si stancheranno di pagare il conto».
Cosa vorrebbe dire ai suoi colleghi che hanno votato No alla mozione, o che si sono astenuti?
«Non ho bisogno di un’intervista, già ho detto quel che dovevo dire per tempo, in ogni sede, pubblica e riservata. Ribadisco, ho piena fiducia che il Pd non abbia cambiato opinione e che non la stia cambiando. Nessuno nel mio partito nega la necessità e il dovere di sostenere l’Ucraina e di contrastare il disegno di Putin. Ma dobbiamo chiarirci su un punto: questo sostegno non ha una scadenza. Non possiamo stabilire un limite temporale ad un’azione che è destinata a stabilire gli equilibri del mondo e dell’Europa per i prossimi decenni. E questo punto va chiarito nel partito, al Governo e più in generale nel Paese».
Il Pd ha spesso una posizione nebulosa, sulla guerra, sulle politiche di difesa e in politica estera. Guardando in prospettiva lei vede il partito di Lorenzo Guerini o di Marco Tarquinio? E adesso cosa succede? Insieme con chi sta sulle sue stesse posizioni, come Filippo Sensi e Lia Quartapelle, che tipo di battaglia darete dentro il partito?
«Non esiste nessun partito di Lorenzo Guerini o di Marco Tarquinio (che è un indipendente) esiste il Partito Democratico che non è di chi lo guida ma è dei militanti, dei simpatizzanti e degli elettori. In questi anni siamo sopravvissuti proprio perché abbiamo scongiurato la deriva personalistica. Le mie battaglie sono le stesse da sempre e se sono stata eletta tre volte a Bruxelles è perché il partito si è sempre riconosciuto, nonostante i tanti segretari diversi, in queste battaglie che non riguardano mai la nostra bottega ma il mondo, la sfida costante tra democrazia e autocrazia, tra cedere alla via semplice e corta rispetto a quella complessa, tra essere responsabili ed adulti e l’essere populisti».
Certo, se guardiamo indietro, alla storia, perfino Pietro Nenni votò contro l’adesione italiana alla Nato, come Togliatti, e per questo il PSI venne espulso dall’internazionale socialista. Spesso in Europa la nostra sinistra ha mostrato, nei confronti di Mosca, più ancoraggio che coraggio. Torniamo a distinguerci dalla maggioranza del Pse?
«Macchè. Nenni, Togliatti, il dopoguerra, lasciamo queste discussioni alla storia. Questa in particolare è finità nel 1989, qualcuno a giusta ragione sostiene che era finita già da prima. In ogni caso l’Europa di oggi e il PSE di oggi è quello emerso dal nostro tempo, dal crollo del Muro, dall’unificazione della Germania, dall’allargamento ad est, dall’11 settembre, dalla crisi finanziaria, dalla crisi pandemica. E dall’aggressione russa all’Ucraina. È con tutto questo che siamo chiamati a fare i conti. Il tema di uscire dalla Nato non mi pare proprio all’ordine del giorno, diciamo».
La nuova Commissione europea ha voluto, con una decisione di Ursula von der Leyen, un Commissario alla Difesa. Quale sarà il perimetro del suo incarico?
«Difficile stabilire fin da subito un perimetro. Sarà un processo che doterà nel tempo l’Europa di strumenti comuni per la nostra sicurezza e difesa, di un esercito e di un’intelligence comune, di forze di reazione condivise. Ancora presto dire oggi quanto tempo occorrerà. Ma credo sia un processo ineluttabile e sul quale dobbiamo investire. Su un punto è giusto però chiarire fin da subito un principio: non ci sarà autonomia dell’Europa finché questo processo non sarà solido, sia dal punto di vista politico che economico. Politica estera e di difesa si tengono, non è immaginabile la prima senza costruire la seconda».
Quali sforzi si stanno facendo per costringere la Russia ad accettare di sedere al tavolo delle trattative?
«Oltre due anni e mezzo di resistenza. Questo è lo sforzo. È chiaro che Putin vuole sedersi al tavolo per due ragioni: la prima è perché ha già perso scommettendo su una rapida capitolazione; la seconda, in subordine, è legittimare con un accordo internazionale posizioni conquistate sul campo con la forza. La prima non gli è stata concessa, non commetteremo l’errore di concedergli la seconda. Non ci può essere tavolo che non parta dall’integrità del territorio ucraino e dalla libera volontà del popolo ucraino e del suo legittimo governo. Voglio anche ricordare che l’Ucraina è vicina ad entrare nell’Unione e questa è la migliore assicurazione per la pace del continente. In questa cornice si può discutere di tutto. Stavolta non discuteremo della Cecoslovacchia lasciando i cecoslovacchi fuori dalla porta».
Ha ragione chi, come Guerini, raccomanda un rapido adeguamento delle spese militari italiane in vista di quell’approdo al 2% richiesto dalla Nato?
«Quell’adeguamento è in funzione di una maggiore cooperazione militare con i nostri alleati e deve essere interpretato in un’ottica di rafforzamento e razionalizzazione della complessiva forza europea. Quindi ovviamente sì, ha perfettamente ragione. La bussola europea non può restare un bel documento pieno di buone intenzioni. Ha bisogno di risorse adeguate».
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Guerra Ucraina
Netanyahu tra solidarietà di Trump e l’avvicinamento a Putin: Russia arbitro Medio Oriente, l’idea che piace a Donald
Tutti gli israeliani dicono di sentirsi oltraggiati e abbandonati per la sciagurata emissione del mandato di cattura della Suprema corte dell’Aja contro Bibi Netanyahu, trattato allo stesso livello dei terroristi di Hamas. E per la scarsa solidarietà internazionale nei confronti Israele. Lo sdegno è unanime, e persino più clamoroso quello degli avversari politici del primo ministro. Si può dire che sul piano interno, mai come in questo momento Netanyahu è stato tanto forte, benché sia costretto a presentarsi in aula per il processo in cui è accusato di corruzione. Ma Israele, in questo momento, incassa quanto di più solido possa avere: la solidarietà totale di Donald Trump, il più potente alleato dello Stato ebraico come è mostrato anche dai murales fotografici a Tel Aviv in cui sul volto del Presidente americano eletto si leggono le parole “Trump, fai tornare Israele di nuovo grande”, ispirate al motto Maga.
Mentre il mondo aspetta l’insediamento di Trump, il presidente ancora in carica, Joe Biden, tenta di governare la politica estera degli Stati Uniti (per quanto riguarda il Medio Oriente) sulla stessa linea del suo successore (e predecessore): ha posto il veto alla proposta di risoluzione dell’Onu che ordina una cessazione del fuoco a Gaza, ma senza condizionarla al rilascio degli ostaggi ancora in vita. Una tale proposta è stata considerata inaccettabile da quasi tutte le democrazie del mondo e Biden ha poi dichiarato nullo e inefficace negli Stati Uniti il mandato di cattura emesso dalla Suprema corte dell’Aja, il braccio giudiziario dell’Onu, che ha già emesso un mandato di cattura per Vladimir Putin accusato di aver fatto deportare in Russia migliaia di bambini ucraini strappati alle loro famiglie dopo l’inizio dell’invasione. I Paesi che avevano proposto la risoluzione che ordinava l’immediata cessazione dei combattimenti senza fare alcun accenno alla sorte degli ostaggi ancora in vita sono dieci e il loro documento è stato bloccato dal rappresentante americano all’Onu usando il diritto di veto riservato ai Paesi vittoriosi nella Seconda guerra mondiale. Anche Biden è d’accordo: i mandati di cattura emessi dall’Alta Corte dell’Aja non hanno alcun valore sul suolo americano nel programma repubblicano la diffidenza nei confronti dell’Onu è dichiarata.
Nel frattempo, Trump ha rilasciato una lunga dichiarazione in video del tutto inusuale e decisamente antirusso. Affermando che sotto la sua amministrazione “gli Stati Uniti proteggeranno tutti i loro alleati (senza nominarli ma riferendosi all’Europa) minacciati dai lanci di qualsiasi tipo di missile a corta o lunga gittata. E ha aggiunto che gli Usa non permetteranno ad alcuno di intimidire Paesi alleati e indipendenti. Si tratta di un vero capovolgimento della sua dottrina anti-Nato che minacciava l’abbandono degli alleati che non spendono abbastanza nella difesa.
Il suo discorso è arrivato a poche ore dal lancio di un nuovo missile russo: un missile sperimentale a testata multipla, creato per far partire un ventaglio di diverse testate nucleari. Il missile che è stato usato era armato con esplosivi convenzionali, ma la sua specificità – medio raggio per bersagli multipli – sta nel messaggio implicito: siamo pronti ad usare questo prototipo come vettore nucleare. Per rafforzare il significato, il ministero della Difesa russo ha an nunciato il suo lancio al Pentagono americano trenta minuti prima. L’uso di questa nuova arma assume un significato sinistro se si considera che viene subito dopo la diffusione della cosiddetta dottrina miliare atomica russa secondo la quale il Cremlino considera suo diritto lanciare atomiche contro i Paesi che possiedono armi nucleari e che armano l’Ucraina con missili convenzionali a lunga gittata. Per ora i Paesi che hanno fornito missili a lungo raggio all’Ucraina (che li ha subito usati) sono gli Stati Uniti e il Regno Unito.
Ma ecco una seconda sorpresa che riguarda la politica estera di Trump. Ne dà notizia principalmente il Wall Street Journal, ma non solo. La premessa che è sfuggita per lo più a tutti è che Israele ha ripreso i rapporti con la Russia di Putin, dopo lo sdegno per la solidarietà del presidente russo nei confronti di Hamas i cui capi furono ricevuti al Cremlino con tutti gli onori dopo i crimini del 7 ottobre 2023. La Russia ha rilanciato il suo rapporto riservato se non segreto con Israele. In questi anni la Russia, più ancora dell’Iran, ha rifornito il movimento sciita di Hezbollah con armi di alta qualità da usare contro Israele. Israele è stata informata sia dagli americani che dagli stessi russi che hanno aperto un tavolo di trattative con Israele (di cui è ben a conoscenza Trump, come la Casa Bianca e il dipartimento di Stato) per trovare una soluzione che chiuda le due guerre – Ucraina e Medio Oriente – concedendo qualcosa alla Russia in cambio di una certa flessibilità con Kiev.
L’idea, caldeggiata da Trump e con il consenso di Israele, sarebbe quella di concedere alla Russia un ruolo di arbitrato e di influenza sul Medio Oriente, un’area dalla quale gli Stati Uniti vogliono ritirarsi salvo mantenere una presenza militare che garantisca Israele. Israele sarebbe sollevata dall’incubo degli Hezbollah che lascerebbero il Libano e potrebbe dare inizio con l’Arabia Saudita al famoso “Accordio di Abramo” per un rinascimento tecnologico e commerciale in tutto il Medio Oriente, relegando ai margini il regime di Teheran che in questo momento è sotto sorveglianza internazionale per aver violato gli accordi sull’uranio arricchito.
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Guerra Ucraina
Escalation coreana: “Truppe al fronte”
Diecimila soldati di Kim pronti a combattere. Putin ringrazia con petrolio, orsi e un leone
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