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Guerra Ucraina

Armi occidentali in Russia, come hanno votato gli eurodeputati italiani: si conferma l’asse gialloverde, Pd e Forza Italia divisi

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Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei. Che oggi potrebbe benissimo essere ‘Dimmi chi e con chi voti, e ti dirò chi sei’. Oggi al Parlamento Ue, infatti, si è votato in merito alla risoluzione sul supporto europeo all’Ucraina e le diverse delegazioni di europarlamentari italiani hanno votato contro. Il principale nodo ha riguardato la risoluzione sulla revoca delle restrizioni all’uso delle armi occidentali consegnate a Kiev sul territorio russo. Una votazione in cui anche all’interno dei partiti italiani, per lo più contrari alla revoca, si sono verificate divisioni.

La risoluzione sul sostegno a Kiev passa in Parlamento Ue

Il testo finale della risoluzione generale a sostegno a Kiev è passato, nonostante i voti contrari di Lega, M5s, Sinistra Italiana e Verdi. Una specie di asse giallo-verde dai sapori antichi, ma non troppo. A votare a favore, invece, sono stati Fratelli d’Italia, Forza Italia e Partito Democratico, anche se in quest’ultimo ci sono state alcune eccezioni, cioè gli europarlamentari dem Marco Tarquinio e Cecilia Strada.

Armi occidentali in Russia, gli italiani votano contro con Pd e Forza Italia divisi

Ma ancora più spaccature nel Parlamento Ue e all’interno delle delegazioni sono nate sul punto 8 della risoluzione, cioè quello per togliere la restrizione sull’uso di armi occidentali all’interno della Federazione Russa. Quasi tutti gli eurodeputati italiani hanno infatti votato contro. Le delegazioni di Lega, Fratelli d’Italia, Movimento 5 Stelle e Avs sono state compatte nell’esprimere la loro contrarietà. Mentre nel Pd e in Forza Italia sono nate alcune divisioni.

Nel partito azzurro, i no sono stati di Caterina Chinnici, Salvatore De Meo e Flavio Tosi. Mentre i voti a favore sono stati di Massimiliano Salini e Marco Falcone, anche se quest’ultimo ha reso noto di voler cambiare il suo voto. Ma anche nel Pd si sono registrate spaccature e indecisioni. A favore del punto 8, infatti, e quindi a favore di levare le restrizioni a Kiev, hanno votato Pina Picierno ed Elisabetta Gualmini. I voti contrari invece sono stati quelli di Brando Benifei, Annalisa Corrado, Antonio Decaro, Camilla Laureti, Matteo Ricci, Sandro Ruotolo, Cecilia Strada, Alessandro Zan e Nicola Zingaretti. Si è astenuta Lucia Annunziata, ma anche lei ha annunciato del cambio voto, optando per il ‘no‘. In realtà nella votazione sulle armi occidentali in Russia diversi europarlamentari dem non hanno votato, mentre sono risultati presenti durante il voto finale sull’intera risoluzione.

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Guerra Ucraina

Zelensky e la settimana della diplomazia per una “pace giusta”. Ora servono più armi contro la Russia

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Londra, Parigi, Roma, Berlino. Per il presidente ucraino Volodymyr Zelensky quello di questa settimana è un vero tour de force diplomatico, che per quanto riguarda l’Italia ha un duplice valore, visto che prima è stato programmato l’incontro di ieri con la premier Giorgia Meloni e oggi quello con Papa Francesco in Vaticano. Un viaggio tra le principali capitali europee con lo scopo di non far dimenticare al Vecchio Continente la guerra che dal febbraio del 2022 sconvolge Kiev.

Il punto

Zelensky sa che questo è un momento cruciale per la sua agenda estera. La situazione sul campo di battaglia è difficile, con le forze russe che non mollano sul fronte orientale e aumentano la loro pressione per riuscire a conquistare più villaggi possibile nel Donbass. E mentre le forze di Mosca marciano in direzione di Pokrovsk, le forze ucraine continuano a chiedere quello che ormai è la costante di tutte le richieste di Kiev agli alleati: più armi, più sistemi per la difesa aerea e soprattutto l’autorizzazione a utilizzare le armi a lungo raggio fabbricate in Occidente, anche per colpire all’interno della Federazione Russa. Richieste chiare, che Zelensky pone da tempo agli alleati. Ma le discussioni nell’Alleanza atlantica non si sono mai fermate, complici i dubbi di molti paesi membri riguardo le implicazioni politiche di questo semaforo verde e l’efficacia sul campo di battaglia. Effetti che per molti sarebbero ridotti, o comunque troppo pochi rispetto ai rischi di un’eventuale reazione del Cremlino e al potenziale allargamento del conflitto anche tra Russia e Nato.

Tensione massima

Superare queste ultime cosiddette linee rosse è essenziale per Zelensky che – dopo la decisione di invadere l’oblast di Kursk ad agosto – ha fatto capire che le sue truppe, per quanto provate da anni di resistenza e da un reclutamento via via più ridotto, possono ancora colpire nel cuore della Federazione così come fanno le forze aeree con i droni. Ieri mattina l’esercito russo aveva detto che la sua contraerea aveva “distrutto e intercettato 92 droni aerei ucraini”, di cui 47 nella regione di Krasnodar, nel sud-ovest del paese, e 12 proprio nella regione di Kursk. Altri 15 droni sono stati intercettati sul Mar d’Azov, mentre diversi velivoli sono stati abbattuti negli oblast Rostov, Bryansk, Belgorod, nella penisola di Crimea e nell’area di Voronezh. E il segnale lanciato da Kiev è che – a determinate condizioni – le sue forze potrebbero colpire in maniera ancora più pesante le truppe e il territorio russo, cercando così di alleggerire il fronte orientale e la controffensiva di Mosca nel Kursk, dove l’Armata vorrebbe concludere la riconquista entro questo mese (almeno nelle più rosee previsioni di Vladimir Putin).

La pace giusta

Zelensky è convinto che sia possibile cambiare gli equilibri, anche per evitare di arrivare al negoziato con un fronte orientale indebolito e con l’operazione dentro la Federazione russa che rischia di vacillare. È anche per questo che il presidente ucraino è in Europa. Perché – nonostante la cancellazione del vertice nella base tedesca di Ramstein – il leader del paese invaso sa che è necessario tenere alta l’attenzione e convincere i suoi partner che non è possibile, in questo momento, arrivare a un’intesa con il Cremlino. Lo ha confermato lo stesso Zelensky parlando ieri a Parigi al termine dell’incontro con Emmanuel Macron, quando ha detto che il cessate il fuoco “non è un argomento delle nostre discussioni”. “Non abbiamo parlato di un cessate il fuoco”, ha ribadito il capo dello Stato, che ha invece sottolineato di nuovo la necessità di ricevere più aiuti possibili prima che arrivi l’inverno. Una stagione che si preannuncia durissima per la popolazione ucraina, non solo per le privazioni della guerra ma anche per le conseguenze dei bombardamenti russi su larga parte delle centrali elettriche del paese. Il pericolo di un inverno al buio e al gelo è estremamente elevato. E, nonostante l’impegno promesso anche dall’Unione europea per aiutare Kiev su questo tema, Zelensky e il suo governo sanno che l’attenzione deve essere massima.

Ne ha parlato con Macron, così come a Londra ne ha discusso con il primo ministro Keir Starmer e il nuovo segretario generale della Nato, Mark Rutte, con i quali ha parlato anche di “integrazione euro-atlantica e rafforzamento militare dell’Ucraina”. “Questi sono i passi che creeranno le migliori condizioni per ripristinare una pace giusta”, ha detto il presidente ucraino su X. Ma sull’integrazione nell’Alleanza e le discussioni riguardo l’eventuale ingresso di Kiev è arrivato un nuovo durissimo commento da parte dell’Ungheria di Viktor Orbán. Il ministro degli Esteri Péter Szijjártó, a margine del Forum internazionale sul gas di San Pietroburgo, ha detto che “se l’Ucraina venisse accettata come membro della Nato nelle attuali circostanze, significherebbe lo scoppio di una Terza guerra mondiale”. E queste parole confermano che in ambito Nato e Ue il dibattito rischia di farsi sempre più acceso.
Da Bruxelles, però, su Kiev non c’è alcuna marcia indietro. Rutte, che pure ha ammesso che la Russia – al netto delle perdite – sta avanzando sul fronte orientale dell’Ucraina, ha ribadito l’impegno ad aiutare politicamente e militarmente il paese. E i documenti trapelati dai media tedeschi hanno lanciato un segnale cristallino sull’attenzione della Nato riguardo il fianco est, visto che si parla di un aumento di 49 brigate “combat ready” entro il 2031. In sostanza, 150mila uomini in più pronti a essere schierati in caso di necessità.

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